Stilpone megarico

Presunta testa di Stilpone (Στίλπων)

A commento di questa scultura, scrive Lucia A. Scatozza Höricht nel suo libro: Il volto dei filosofi antichi. (Napoli, Bibliopolis, 1986):

Agli inizi del nostro secolo risale il recupero dei frammenti di una statua bronzea di filosofo, che faceva parte, insieme ad altri bronzi, del prezioso carico di una nave naufragata presso Anticitera, in Grecia. Oltre alla testa del filosofo, furono rinvenuti il braccio destro alzato, i piedi con sandali con parte delle gambe e la mano sinistra con bastone, che componevano una statua di filosofo stante.

La testa ritrae, con straordinaria naturalezza, un anziano barbuto con l’espressione seria e assorta del pensatore. I capelli sono in disordine e ricadono con corte ciocche sulla fronte devastata dalle rughe.

Il ritratto realistico dell’individuo si fonde e si sovrappone al tipo del filosofo elaborato, con fine introspezione, nell’ellenismo (240 a.C. ca.). Nella estemporanea resa di questo volto pensoso ed ironico, si è voluto vedere un epicureo. I suoi attributi, invece, bastone nella mano sinistra e capelli irsuti ed incolti, ed il livello altissimo della resa formale hanno indotto ad identificarlo addirittura con Stilpone, del cui ritratto dobbiamo postulare l’esistenza.

Oggetto di controversia è la presenza del sandalo, da alcuni interpretato come sicuro elemento contro l’identificazione con un cinico, da altri, invece, preso addirittura come indizio per una tale identificazione, in assonanza col “Menedemo” del dipinto di Boscoreale.


Vale la pena ricordare, di Stilpone, e della misteriosa scuola di Megara (se di scuola si può parlare), una celebre tesi – poco importa qui se da intendere come paradossale o ironica o da prendere alla lettera -: quella dell’impossibilità della predicazione. Darei la parola a Hegel, che nelle sue Lezioni  sulla storia della filosofia si diffonde non poco su Stilpone (a proposito del quale espone, in  modo didatticamente assai perspicuo, le celebri disavventure della coscienza sensibile con le quali si apre la “Fenomenologia dello spirito”). Ricorro a Hegel e non alla manualistica scolastico-universitaria, ché – come recita un adagio abruzzese, “un conto è Pietro, un altro è Mastro Pietro”. Ecco come Hegel la sua trattazione di Stilpone nelle Lezioni sulla storia della filosofia:

In Stilpone questo specialmente appare manifesto, che considerava l’universale nel senso della formale, astratta identità dell’intelletto. (…)

È notevolissimo il fatto che questa forma dell’identità sia giunta a coscienza presso Stilpone, e ch’egli in questa maniera non abbia voluto ammettere se non proposizioni identiche. Secondo Plutarco, egli affermava che a nessun oggetto si doveva applicare un predicato diverso (ἕτερον ἑτέρου μὴ κατηγορεῖσθαι). Non si deve adunque dire che l’uomo è buono, o che è un comandante, ma soltanto che l’uomo è uomo, che il bene è bene, che il comandante è un comandante; e neppure si può dire diecimila cavalieri, ma soltanto che i cavalieri sono cavalieri, che diecimila sono soltanto diecimila ecc. Quando noi diciamo che un cavallo corre, il predicato, dice Stilpone, non è identico coll’oggetto cui viene applicato. Altra è la determinazione concettuale (τοῦ τί ἦν εἶναι τὸν λόγον) uomo, altra la determinazione concettuale buono. Nello stesso modo si distinguono il cavallo e il correre. Infatti, se ci si domanda il concetto di ciascuna delle due cose, non diamo certo la stessa risposta per entrambe. Sono quindi in errore coloro che di una cosa affermano un’altra cosa diversa. Infatti in tal caso sarebbero la stessa cosa uomo e bene, cavallo e correre: e allora come si potrebbe affermare che sono buoni anche il pane e la medicina, e che corrono i cani e i leoni? [Plutarco, Contro Colote, cc. 22-23]. A questo punto Plutarco osserva che Colote attacca su questo argomento Stilpone in modo rumoroso (τραγῳδίαν ἐπάγει), come se egli distruggesse così la vita pratica (τὸν βίον ἀναιρεῖσθαι). «Eppure  – ritiene Plutarco – quale uomo ha vissuto peggio per questo? Chi, udendo questo discorso, non s’accorge che si tratta d’uno scherzo da erudito (παίζοντός ἐστιν εὐμούσως)?».

[La traduzione è di Codignola e Sanna, ed è condotta su una riedizione curata da Bolland nel 1908 del testo stabilito da K.L. Michelet poco dopo la morte del filosofo. Un testo che si legge bene ma che non è l’ultimo grido filologico (ma chi se ne frega, francamente).]

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Gaetano De Sanctis su Socrate

Oggi mi andava di rileggere il capitolo conclusivo della Storia dei Greci di Gaetano De Sanctis.

Il libro uscì nel 1939; De Sanctis, che nel 1931 era stato cacciato dall’università perché aveva rifiutato di prestare giuramento a Mussolini, in realtà la Storia dei Greci non l’aveva scritta ma dettata, perché a causa di una malattia agli occhi nel corso degli anni ’30 era diventato completamente cieco. 

Ricordo in che anno lessi questo gran libro, s’era nel 1986; seguii  il suggerimento di un professore sui generis – molto sui generis: Antonio Capizzi, sul quale ora non mi soffermo (lo farò magari per un’altra volta). Sento ancora la voce di Capizzi che diceva più o meno così: «Non capisco perché Giannantoni (che insegnava, nella stessa università, la Sapienza di Roma, Storia della filosofia antica) si ostini a far leggere il “Trattato di storia greca” di Giannelli: è molto meglio De Sanctis, è un libro ancora (usò proprio questo aggettivo) “fresco”». 

Riporto un paio di passi del summenzionato capitolo, che però merita di essere letto integralmente.

Questa autoctisi della eticità alla quale Socrate costringeva con tanta efficacia i proprî discepoli, e in cui, assai più che nell’aiutare alla procreazione di concetti, consisteva la sua vera maieutica, aveva peraltro un effetto impensato e gravissimo. La nuova e intensa vita morale che sbocciava in essi, come era sorta in lui, pur se si conciliava col pieno ossequio alle leggi civiche e persino se comandava quell’ossequio, era tuttavia nella sua natura e nel suo fondamento estranea affatto alla polis e la trascendeva, spezzava la indiscriminata unità primordiale della vita civica anche più risolutamente che non facessero quanti trasgredivano le leggi o per private ragioni egoistiche o criminali, o per l’ambizione di dominare nello Stato. (…)

La tragicità del suo martirio sta nella grandezza e nel valore di ciò che Anito, mettendo il martire a morte, intendeva salvare, sta nella rispondenza di quest’azione di Anito con la coscienza civica e con le leggi vigenti in Atene, cioè, intendendo la parola in senso contingente e concreto, nella giustizia della condanna. Poiché, se allontanare i cittadini dalla partecipazione all’effettiva vita politica in uno Stato che considera questa partecipazione non solo come diritto ma anche come dovere, è corromperli, Socrate era corruttore. E se la fede in un ordine religioso che si consideri intimamente connesso con la vita dello Stato è ritenuta indispensabile alla formazione del cittadino, il maestro il quale, consapevole o no, minava la fede in quest’ordine e tendeva nel suo insegnamento a sostituirvi un’altra fede era reo d’irreligiosità (ἀσέβεια). (…)

La personalità etica divenuta appieno consapevole non poteva più essere sommersa nella vita collettiva. Un nuovo elemento s’era introdotto nella storia umana, la quale ormai non poteva più svolgersi se non nella tensione tra i due poli della personalità individuale e della statalità. Fecondo, sebbene non di rado tragico, contrasto, che domina d’allora in poi tutta la storia della civiltà europea e che solo salvaguarda gli Stati dall’irrigidimento in cui necessariamente cadrebbero se la libera personalità non si erigesse del continuo a giudicare delle loro istituzioni, se non si sforzasse del continuo di saggiarle a quelle leggi non scritte che si rivelano all’individuo il quale ascolti nella propria coscienza l’imperativo divino. E chi spronava la polis verso questo rinnovamento, verso questo superamento di se stessa dopo aver resistito impavido nel processo dei vincitori delle Arginuse alla «violenza dei cittadini che ordinavano cose prave» [Apologia, 32c] e non aver tremato dinanzi al volto minaccioso dei tiranni che gli chiedevano la complicità nell’assassinio del meteco Leonte o gl’intimavano di rinunziare alla sua missione di maestro, era in realtà, come egli stesso riteneva e affermava, anche se paresse o fosse nel momento un sovvertitore, supremamente benemerito di essa.

Gaetano De Sanctis, Storia dei Greci, 1a edizione 1939.

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Infinitum imaginationis

Anassagora e Pascal indugiavano tra gli infinti, grande e piccolo. Kant inneggiava al sublime, mentre Hegel bollava tali commerci col “cattivo” infinito come oziosi e aconcettuali, e dava ad Haller sostanzialmente del palloso, per poi salvarlo in extremis.

Il video dà qualche vertigine, anche se l’infinito resta infinitamente lontano.

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Caro Corrado

TANTOPREMESSO.it

Caro Corrado,

mi chiamo Alfredo Ferrante, ho 52 anni e faccio il dirigente pubblico in una amministrazione centrale dello Stato. Seguo con una certa assiduità la sua trasmissione, presso la quale, peraltro, ho avuto il piacere di intervenire brevemente qualche anno fa in un paio di occasioni.

Posso dunque definirmi uno spettatore affezionato, con un appuntamento pressoché fisso ogni giovedì sera: devo dire, tuttavia, di aver provato una sincera delusione nell’assistere, nella puntata di Piazzapulita dello scorso 5 novembre, allo scambio fra lei e l’onnipresente Massimo Cacciari, che ha tuonato contro i colleghi dello Stato e del parastato che hanno poco da star tranquilli, posto che la crisi non può pagarla una metà del Paese.

Potrebbe qui aprirsi un’ampia discussione su quale effettivamente sia questa metà del Paese, ma non è questo il punto. La cosa che mi è francamente dispiaciuta è sentirla parlare, in risposta a Cacciari, di…

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L’arresto di Antonio Gramsci

Quasi un secolo fa, l’8 novembre 1926, a Roma viene arrestato Antonio Gramsci.

(Giuseppe Fiori, Vita di Antonio Gramsci, cap. 22)

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Deambulationes philosophicae

Leibniz a Remond 1714

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Buoni propositi per l’anno nuovo


Sulla soglia del nuovo anno, a guardia del medesimo, mi pare buona cosa mettere una rilettura di Montesquieu. Le Lettere persiane.

Buona cosa, e di buon auspicio, non rilasciare l’ennesimo commento del commento della risposta all’ultimo editoriale (più appropriatamente: all’ultima coglioneria) in tema di scuola. Espettorazioni – tutte quelle robe lì, dico: editoriali, commenti, risposte -, di tromboni dediti a fanfareggiare opposte, e dunque identiche, ignoranti saccenze.

E chi va al mulino si infarina (ma magari fosse un mulino e si trattasse di farina!).

Disciplina. Quest’anno all’insegna della disciplina. Ruit hora.


D’ailleurs ce roi [scil. Louis XIV, ADB] est un grand magicien : il exerce son empire sur l’esprit même de ses sujets ; il les fait penser comme il veut. S’il n’a qu’un million d’écus dans son trésor, et qu’il en ait besoin de deux, il n’a qu’à leur persuader qu’un écu en vaut deux, et ils le croient. S’il a une guerre difficile à soutenir, et qu’il n’ait point d’argent, il n’a qu’à leur mettre dans la tête qu’un morceau de papier est de l’argent, et ils en sont aussitôt convaincus. Il va même jusqu’à leur faire croire qu’il les guérit de toutes sortes de maux en les touchant, tant est grande la force et la puissance qu’il a sur les esprits.

Ce que je te dis de ce prince ne doit pas t’étonner : il y a un autre magicien plus fort que lui, qui n’est pas moins maître de son esprit qu’il l’est lui-même de celui des autres. Ce magicien s’appelle le pape : tantôt il lui fait croire que trois ne sont qu’un ; que le pain qu’on mange n’est pas du pain, ou que le vin qu’on boit n’est pas du vin, et mille autres choses de cette espèce.


Montesquieu. Lettres persanes. Lettre XXIV

 

Il testo italiano delle Lettere persiane si può leggere qui (è l’edizione da cui ho preso la traduzione del passo citato qui sopra).

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La prima domenica d’Avvento del 1943

Nel novembre del 1943 cominciarono a susseguirsi pesanti bombardamenti su Berlino. Particolarmente violento fu l’attacco della notte tra il 22 e il 23 novembre: le bombe sganciate dagli aerei della Raf colpirono zone del centro e quartieri residenziali. Tra gli edifici danneggiati la Gedächtniskirche che, perché fosse serbata memoria dell’accaduto, sarebbe stata lasciata con con il campanile spezzato.

Dietrich Bonhoeffer, recluso nel carcere di Tegel, scrive ai suoi famigliari due giorni dopo il raid che nella notte tra il 26 e il 27 novembre aveva preso di mira la Rheinmetall-Borsig AG, una fabbrica di armi e munizioni sita proprio nel quartiere di Tegel. È la prima domenica d’Avvento del 1943.


[Tegel]

prima domenica d’Avvento,

28 novembre 1943

Cari genitori,

benché non si sappia se e come le lettere vengano ora consegnate, non vorrei lasciar passare il pomeriggio della prima domenica d’Avvento senza scrivervi. Oggi ci è particolarmente presente la Natività di Altdorfer, dove si vede la Sacra Famiglia con la greppia tra le macerie di una casa in rovina: come si potè giungere a un’immagine simile, 400 anni fa, contro ogni tradizione? Forse egli voleva dire che anche così si può e si deve festeggiare il Natale; in ogni caso egli lo dice a noi. Mi piace pensare a voi, raccolti assieme con i bambini a festeggiare l’Avvento con loro, come una volta con noi. Soltanto che ora c’è una maggiore intensità, perché non si sa quanto può ancora durare.

[Dietrich Bonhoeffer, Resistenza e resa]

albrecht altdorfer die heilige nacht - 1511 - Gemaldegalerie Berlin

Albrecht Altdorfer (ca. 1480 – 12.2.1538) Die Geburt Christi (1513). Berlino, Gemäldegalerie. (Fotografia: http://www.zeno.org/nid/20003860299)

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L’ennesima direttiva arrogante di Salvini sull’immigrazione. Ecco cosa c’è da sapere

Un consiglio spassionato: leggete Vitalba Azzollini, i cui articoli sono esemplari per  precisione e completezza delle informazioni, equilibrio e pulizia logica (aequam servare mentem, soprattutto rebus in arduis!), chiarezza di scrittura.

E un invito a diffondere, se credete e potete, i suoi contributi. A partire da questa ottima analisi della direttiva emanata dal Ministro degli interni Salvini il 15 aprile 2019, l’ennesimo atto salviniano in materia di immigrazione. Una direttiva propagandistica, arrogante nei confronti delle istituzioni, preoccupante dal punto di vista della civiltà giuridica.

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I fatti e la logica contro la propaganda di Salvini

Ecco un articolo da diffondere ovunque, con ogni mezzo. Digitale, telematico, cartaceo, vocale. Un articolo da stampare e affiggere su pareti, muri di cinta, toilette pubbliche, finestrini delle auto.
Da far leggere e analizzare nelle scuole – vedi alla voce Cittadinanza e Costituzione.

Già: perché l’habitus – quasi seconda natura! – di andare alle fonti delle informazioni e di vagliarle, le competenze in campo logico-argomentativo, l’attitudine a smontare la propaganda, specie quando vergognosamente disonesta e, fatto ancor più grave, è utilizzata da chi è al governo, tutto ciò è bagaglio essenziale del buon cittadino.

Un sentito grazie a Vitalba Azzollini e a PHASTIDIO.NET

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